A ciascuno il suo.
La segregazione dei godimenti e il multiculturalismo
Andrea Iommi
Intervento presentato al I° Convegno Nazionale FLaI - Forum Lacaniano in Italia, "Una formazione umana", 10-12 maggio 2018, Macerata
A ciascuno il suo è una massima del diritto romano che indica il principio secondo il quale la giustizia deve avere come fine quello di dare un giudizio individuale in modo che si possa retribuire ciascuno a seconda della sua spettanza. Per il diritto la questione è quella di porre in relazione il singolo ed il suo atto con un codice che è uguale e valido per tutti all'interno di una comunità. Da questa articolazione deve discendere il giudizio.
Una cosa analoga si potrebbe dire della psicoanalisi, che è il luogo in cui ogni soggetto può avere il suo: la sua parola, la singolarità del suo desiderio, il suo ascolto.
Per la psicoanalisi, invece, si tratta di interrogare - tra l'altro - le condizioni di un legame sociale che preservi la possibilità del desiderio (non anonimo) e di una realizzazione umana. Anche in questo caso oggetto della nostra attenzione è l'incontro del singolare, la soggettività, con l'universale della legge e come le condizioni che presiedono a questo incontro modificano le possibilità di espressione della soggettività. Questo incontro, questa intersezione non è una dimensione astorica ma dipende da fattori di struttura e contingenti.
E' fuori di dubbio che lo scenario di questa articolazione è molto cambiato dai tempi di Freud. Alcune posizioni dell'insegnamento di Lacan stanno lì ad indicarcelo. Ci possiamo anche interrogare quanto la nostra contemporaneità sia cambiata dai tempi di Lacan.
Lacan ci ha dotato di alcuni strumenti cognitivi e logici per interpretare il nostro tempo. Oggi vediamo chiaramente come il dominio incontrastato del discorso del capitalista (un capitalismo vampirizzato dalla finanza) e della logica della scienza hanno condotto ad un "rimaneggiamento dei raggruppamenti sociali" sotto il segno di una "universalizzazione[1] e aldissolvimento dell'autorità sotto ogni forma: autorità paterna, autorità dell'Ideale. Assistiamo alla decomposizione dell'ordine simbolico basato su una idea di gerarchia condivisa di valori e quindi di un discorso che può essere condiviso con i simili. A questa deriva, già denunciata da Lacan nei "Complessi familiari", si aggiunga la promozione dell'oggetto a (più di godere) a scapito dell'ideale. La globalizzazione vi ha portato, inoltre, una macrotendenza allo spostamento/migrazione continuo di masse di individui come effetto della del dissolvimento delle barriere di confine (trasferimento senza ostacoli di capitali e merci) e perdita di sovranità da parte delle entità statali e delle comunità locali, la cui vita economica e politica è sempre più interconnessa con quella di altri soggetti politici extraterritoriali. Questi ed altri fattori danno vita ad uno scenario sociale in cui il soggetto incontra i suoi simili in condizioni fortemente mutate rispetto al passato.
Lacan parlando degli effetti di una "sovversione senza precedenti[2]", ovvero della congiuntura dei nostri tempi in relazione alle condizioni del legame sociale, ha evocato l'accentuarsi di fenomeni di segregazione[3].
L'affermazione di Lacan appare provocatoria se messa in relazione alla temperie in cui viene enunciata: il '68 francesce è il momento in cui avviene la messa in discussione radicale dell'ordine tradizionale (quello fondato sull'autorità paterna) in nome dell'ideologia dei diritti umani e della libertà, della uguaglianza e la non discriminazione.
Il senso che Lacan ci consegna è che venendo meno l'ordine simbolico del discorso rappresentato dal Padre simbolico - un ordine discorsivo -, quello che verrà a sostituirlo sarà un regime di segregazione.
L'ordine del Padre simbolico si fonda sui significanti Maitre, sui sembianti che veicolano l'ideale, la cultura, lo spirito, ma è sostanzialmente e principalmente un ordinamento dei godimenti; di quei godimenti regolati dal principio di piacere che creano anche un senso di identità comunitario, di appartenenza ad un gruppo, danno un fondamento alle empatie del soggetto con il suo ambiente[4]. Si può definire il termine "patria", nella sua essenza, come una modalità di godimento di alcuni oggetti, modalità codificata e riconosciuta da una tradizione e differenziata da altre modalità.
Mano a mano che il simbolico perde la sua capacità di ordinare i godimenti secondo una organizzazione condivisa e discorsiva[5], ciò che rimane a contraddistinguere i soggetti e a tentare di legarli in comunità sarà il godimento di alcuni oggetti forniti dal mercato.
Tuttavia Lacan ci avverte che il godimento degli oggetti/merce può produrre un solo discorso: quello che conduce ad una segregazione fondata sul razzismo del godimento. Ovvero una discriminazione non solo su base razziale, etnica, culturale-religiosa o sessuale, ma intesa radicalmente come non tolleranza per i godimenti dell'Altro e la supremazia dei propri.
Infatti, la realtà di struttura impone che il godimento prodotto dall'oggetto a (di plus godere) è solo in parte inseribile in un discorso, e dà luogo ad un legame debole, costruito sulla esclusione, che non ammette mediazioni, moderazioni, sublimazioni culturali.
Dunque la segregazione intesa come un ordine sociale fondato sulla separazione, sull'apartheid, sull'isolamento.
Il tessuto sociale che ne deriva si caratterizza per un arcipelago di aggregazioni transitorie di fruitori, consumatori, fan di prodotti culturali, seguaci di mode consumistiche. Sono isole, pezzi di iceberg alla deriva che faticano a comunicare tra di loro, perché queste isole hanno in comune solo l'appartenenza ad un mercato. L'individuo, nel corso della sua esistenza, abita diverse di queste isole e la sua esperienza ne è frammentata, perché non c'è discorso che le possa unificare e sintetizzare. Da questi soggetti "disassortiti" non ci si aspetta che possa nascere una coscienza o una rivendicazione, ma solo un senso di solitudine e disperazione: è il mondo descritto da Houllebecq nei suoi libri.
Gli effetti clinici che ne cogliamo sono quelli di una difficoltà a ricorrere alle vie del simbolico per arginare il godimento, la spinta all'oggetto che pervade sempre di più tutti e che lascia tutti vagamente e variamente depressi, insufficienti rispetto all'imperativo del godimento.
Lo scenario segregativo trova una applicazione nel multiculturalismo, inteso come trasposizione sul piano delle politiche e del diritto di un modo di organizzare la coesistenza tra comunità e gruppi residenti su uno stesso territorio ma appartenenti a tradizioni culturali diverse.
Consideriamo in questa sede con il termine ampio di cultura un insieme distinguibile di valori, tratti caratteristici, consuetudini e tradizioni di ordine religioso, letterario, folcloristico, linguistico. Tuttavia nel concetto di cultura non hanno posto solo i valori e i tratti caratteristici, ma anche i rapporti di forza tra individui, sessi, categorie e generazioni. Rapporti considerati come positivi, giusti, desiderabili, rispondenti al naturale corso delle cose. I costumi tradizionali, i ruoli culturalmente definiti, le pratiche sessuali e matrimoniali, le relazioni intime e quelle familiari, con le predilezioni e le subordinazioni, le consuetudini ereditarie, i ruoli economici: sono questi aspetti sociali che nel loro intreccio veicolano di fatto forme di godimento soggettivo messe a disposizione dalla cultura comunitaria e non esplicitabili però al livello del soggetto in quanto celati dai sembianti della tradizione. Si tratta ovviamente di un godimento che trova la solidarietà della comunità.
In una prospettiva assimilatrice (l'assimilazionismo si oppone al multiculturalismo) la tradizione allogena, straniera, deve necessariamente adattarsi e piegarsi alla cultura egemone, rinunciando alle proprie caratteristiche precipue.
Non è infrequente che alcune culture (principalmente quelle cui appartiene il potere statale) sono percepite come il punto di arrivo di un processo storico di crescita umana e civile, la meta dell'evoluzione, lo standard cui le altre culture ritardatarie ed arretrate devono adeguarsi. In questa prospettiva le altre culture sono infatti pensate come fissate a tappe inferiori, sorpassate dalla storia, primitive.
La logica assimilazionista chiede allora ad ogni cittadino di osservare le leggi dello stato a prescindere dall'appartenenza ad una comunità culturale, leggi che prevalgono sulle leggi della tradizione. La contraddizione neanche troppo nascosta è che le leggi dello stato non sono mai neutre, ma il prodotto dello stesso processo storico da cui è scaturita una cultura, e quindi coerenti e solidali con essa, non esistendo valori umani universalmente validi ed accettati se non in astratto (contrariamente alla tesi illuminista dei diritti umani). Chiedere quindi ad un appartenente di un'altra cultura di sottostare a leggi a lui estranee può implicare la violazione del principio di uguaglianza. Appare quindi paradossale che proprio all'interno della nostra cultura, che si rifà al sistema dei diritti umani, i quali contemplano al loro all'interno anche il diritto alla propria specifica cultura, si arrivi a chiedere allo straniero di rinunciare alla propria identità culturale. E tuttavia quando l'applicazione di specifiche norme culturali conduce alla violazione sistematica dei diritti di alcune persone, cosa facciamo? Appare qui il limite di una definizione dei diritti che si basi su una prospettiva individuale, sul singolo, e non sui suoi legami, affettivi sociali, economici: sul singolo in astratto piuttosto che sulla comunità in cui il soggetto vive.
Il multiculturalismo (diffuso nel mondo anglosassone), invece, prevede che all'interno dell'accettazione di alcune norme fondamentali (generalmente quelle contenuti nei codici penali e civili) ogni comunità, ogni tradizione culturale, possa mantenere e vedere riconosciute le proprie caratteristiche distintive, le leggi della tradizione, e che queste possano valere per i membri di quel gruppo se non confliggono con le leggi dello stato.
Il multiculturalismo è dunque una sorta di autoregolamentazione, concessa dall'autorità statale centrale, alle comunità "altre" nell'intenzione di rispettare il diritto fondamentale della persona alla propria identità culturale[6].
È tuttavia il multiculturalismo è anche una chiusura all'altro, a difesa di una idea di identità culturale cristallizzata, immobile che si perpetua in forme radicalizzate e nostalgiche poste al di fuori dello scorrere del tempo e contro l'inesorabile fluire del cambiamento[7].
Nel campo del diritto penale, l'approccio multiculturale dà vita alla nozione di "reato culturalmente motivato". Ovvero "un comportamento realizzato da un soggetto appartenente ad un gruppo etnico di minoranza, che è considerato reato dalle norme del sistema della cultura dominante. Lo stesso comportamento, nella cultura del gruppo di appartenenza dell'agente, è invece condonato, accettato come normale, o è approvato, o, in determinate situazioni è addirittura imposto."[8]
Dal punto di vista giuridico la questione è se il soggetto appartenente ad una tradizione culturale allogena può legittimamente invocare a giustificazione del proprio atto l'osservanza di costumi tradizionali. L'appartenenza ad una comunità culturale specifca costituirebbe motivo di ricorso ad una serie di istituti giuridici con i quali il diritto penale "dà a ciascuno il suo", ovvero modula il giudizio e la pena a seconda delle differenze dei fatti e delle persone[9].
La presenza di più culture nel tessuto sociale, la sua tendenza alla balcanizzazione (altro sinonimo della segregazione), indurrebbe quindi un correlativo frammentarsi dell'ordinamento giuridico, fatto questo esplicitamente proibito dalla Corte di Cassazione. Alcuni arrivano ad auspicare l'avvento della figura del giudice antropologo.
Il dibattito è aperto. Al momento il Codice non ammette l'esistenza di un reato culturalmente motivato e il giudice resta soggetto soltanto alla legge. Anche la Corte Costituzionale[10] ha ripetutamente escluso che l'elemento culturale, l'appartenenza ad una definita "sub cultura" possa essere rilevante alla definizione del fatto reato, sia sul piano oggettivo che su quello soggettivo. Eppure il problema di una rilevanza delle diversità culturali si pone.
In relazione al diritto penale le fattispecie più sensibili riguardano una ampia gamma di reati che vanno dai delitti contro la persona (mutilazioni genitali femminili per motivi culturali o religiosi, violazione della l'integrità corporea e della autodeterminazione; delitti nel contesto del legame familiare: maltrattamenti in famiglia, abuso dei mezzi di correzione, violenze e lesioni personali su familiari; matrimoni combinati o forzati; sequestro di persona; violenza sessuale tra coniugi o tra familiari, la riduzione in schiavitù, i delitti con motivazioni nel senso d'onore o nella reputazione personale.
In una ottica di bilanciamento degli interessi si tratta:
- da un lato di tutelare i diritti inviolabili dell'uomo, conservando un ordinamento unico a salvaguardia di un tessuto sociale;
- dall'altra di non comprimere i valori specifici di una tradizione culturale, che costituiscono il fondamento dell'identità e e della dignità dell'individuo in quanto suo partimonio culturale
La questione che il multiculturalismo pone mostra con evidenza come una soluzione sul piano del simbolico, e quindi dei valori ideali, o attraverso un rimaneggiamento dei sembianti non è possibile. Lacan ci insegna che non è l'S2, il sapere, ad essere risolutivo. Il conflitto non è tra valori, su quelli ci si può sempre accordare, ma tra gusti.
Occorre imparare ad essere consapevoli del posto che occupa una identificazione non più all'Ideale ma all'oggetto di godimento nella formazione della massa umana.
D'altronde Freud[11] indica come la massa originaria si può costituire come raggruppamento segregativo (con "reciproca identificazione dell'Io") anche sostituendo l'ideale con l'oggetto. E Lacan[12] riprenderà l'idea che la dimensione sociale, la fraternità - nasce, si sostiene e si giustifica sull'essere isolati insieme. L'uomo può riconoscere come simile solo chi è nella sua stessa condizione, solo chi è "isolato assieme" formando una comunità di godimento, una "fratellanza di godimento" "isolati dal resto".
Dunque, la massa si costituisce e si rende coesa su due lati: verso l'interno abbiamo un meccanismo di identificazione ad alcuni sembianti del godimento; verso l'esterno si opera un movimento di identificazione e esclusione di chi ha un godimento diverso dal mio (il barbaro):
L'identificazione ad un tratto di godimento (un'identificazione camuffata, segreta[13]) inaugura un fenomeno di segregazione di se e dell'altro che può prevalere su ogni altra forma discorsiva (il razzismo) e rifugge la mediazione del simbolico.
Compito dello psicoanalista è quello di spiare il contemporaneo e il suo trattamento del godimento. Nella speranza di scorgervi, sotto nuovi sembianti, inedite possibilità di sublimazione.
[1] Lacan, J., Proposta del 9 ottobre 1967 intorno allo psicoanalista della Scuola, Einaudi, 2013
[2] "(...) in che modo noi, intendo noi psicoanalisti, risponderemo alla segregazione messa all'ordine del giorno da una sovversione senza precedenti?" Lacan, J., Allocuzione sulle psicosi del bambino, Altri scritti, Einaudi, 2013
[3] "Il nostro avvenire di mercati comuni avrà come contrappeso una sempre più dura estensione dei processi di segregazione". Lacan, J., "Proposta del 9 ottobre 1967 intorno allo psicoanalista della Scuola". Qui il riferimento alla segregazione rimanda ai regimi di apartheid (Sudafrica, Stati Uniti del sud) imperniati su ideologie esplicitamente suprematiste di stampo razziale, e caratterizzati da una accurata organizzazione degli spazi e dei ruoli sociali.
[4] Soler, C. "Quel che resta dell'infanzia", Edizioni del Campo Lacaniano, Praxis, 2015, pag. 64.
[5] Si tratta evidentememte di un ordinamento in grado di tenere insieme soggetti con godimenti diversi: alcuni godimenti valorizzati, altri consentiti, altri tollerati, altri proibiti.
[6] Il multiculturalismo non è una novità assoluta. Potremmo dire che al multiculturalismo si ispirava già l'impero romano (e tutta la vicenda della passione di Cristo è un esempio di come facevano funzionare il multiculturalismo i romani). In seguito dopo la caduta dell'impero romano al tempo dei regni cosiddetti germanici le popolazioni latine continuarono ad essere amministrate e giudicate dal diritto romano, mentre le popolazioni germaniche, che pure vivevano mescolate ai latini, avevano il loro istituti giuridici tipici.
[7] Si potrebbe anche sostenere che il multiculturalismo è quella ipocrisia per cui la "cultura dominante" lascia che nei gruppi minoritari si perpetuino tradizioni e trattamenti dei soggetti che sono inaccettabili, ma che possono andar bene per "gli stranieri", almeno fino a che gli stranieri rimangono in posizione di minoranza marginale, circoscritta, quindi in posizione di non nuocere.
[8] Cfr. J. van Broeck, Cultural Defence and Culturally Motivated Crimes (Cultural Offences), in European Journal of Crime, Criminal Law and Criminal Justice 2001, n. 1, p. 5. Vedi anche F. Basile, Immigrazione e reati culturalmente motivati. Il diritto penale nelle società multiculturali, Giuffrè, Milano, 2010, p. 15 ss., p. 41 ss
[9] Si tratta di strumenti guridici come le attenuanti, le esimenti, il concetto di "giustificato motivo", o il ricorso all'aggravante del futile motivo.
[10] Osserva la Corte (Cass. pen., sez.VI sent. 16.12.2008) che nel nostro sistema penale il rilievo del fattore culturale può essere preso in considerazione a condizione che il suo contenuto non contrasti con i principi cardine del nostro ordinamento, specie se di rango costituzionale, perché il giudice non può sottrarsi al suo ruolo di rendere imparziale giustizia assicurando, nel contempo: a) tutela delle vittime (è irrilevante il loro consenso alla lesione dei diritti indisponibili); b) garanzie agli accusati nella uguale applicazione delle norme; c) personalizzazione della condanna.
E tuttavia, (Cass., sez. I, ud. 31 marzo 2017 - dep. 15 maggio 2017, n. 24084) «l'integrazione non impone l'abbandono della cultura di origine, in consonanza con la previsione dell'art. 2 Cost. che valorizza il pluralismo sociale, il limite invalicabile è costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante».
[11] Freud, S., Psicologia delle masse e analisi dell'Io, 1921
[12] Lacan, J., Il seminario. Libro XVII. Il rovescio della psicoanalisi (1969-1970), Einaudi, 2001, lezione 11 marzo del 1970.
[13] Lacan, J., Seminario XVIII, "Di un discorso che non sarebbe del sembiante." Einaudi, 2010, lez 2.